Nasce un Vino

Cultura del vino, sinonimo di Oltrepò Pavese. E’ la prima voce e la prima memoria, il vino, quando si parla di Oltrepò. Sarà per i 14.000 ettari di terreni coltivati a vite o per la vocazionalità straordinaria che consente di allevare una gamma varia di vitigni. Sarà per la situazione pedoclimatica e geologica, con i suoi risultati differenziati per aree e altimetria. Sono queste, e non solamente queste, le ragioni che fanno dell’Oltrepò da secoli uno dei territori italiani ed europei più produttivi in ambito enologico. Non va scordata la posizione, fra Piemonte, Emilia e Liguria, fra mare, fiumi e montagne, che ha connotato l’Oltrepò come luogo di passaggio, ma anche di sosta e di scambio. E la facilità dei collegamenti, con il Po a far da traghettatore dei vini sull’acqua, verso Pavia, verso Milano.Di coltivazione di viti si parla, relativamente all’Oltrepò, sin dall’antichità: Strabone cita le grandi botti che transitavano lungo le strade strade e Paolo Diacono, nella sua “Storia dei Longobardi”, menziona la presenza della vite sulle colline non lontane da Pavia, capitale longobarda. Di Vites Vermilee e Vites Nostranae parla un documento del XIII secolo individuato a Voghera in relazione a vini rossi e vini bianchi dell’ “Ultrapadi”, dell’Oltrepò. Il vino, sinonimo di Oltrepò, nel calice, in tavola, in vigna; nella parole di uno scrittore di oggi, Mino Milani, che è pavese ma ha casa anche in Oltrepò; nei colori di un pittore di oggi, Pietro Delfitto, che visse ad Arena e ritrasse i colori dell’Oltrepò e del suo mondo. Nelle strade, numerose, che dal Po salgono a solleticare le colline, da Stradella a Canneto, Montescano, Montù, sino a Montecalvo, il regno del Pinot nero, Golferenzo, Volpara e poi su sino a Canevino e Ruino o verso Piacenza, passando da Zenevredo, Bosnasco, San Damiano e Rovescala, terra di Bonarda. 
Conclusione e inizio: esiste un motto, sino a qualche tempo fa parlante da un cartello affisso in alcuni uffici e aziende vinicole della zona, e il motto dice “Qui il vino è vino”. Autore: Gianni Brera. Il vino, qui, è così.

Vermiglio il rosso, I vini rossi d'oltrepo', Scriveva Luigi Veronelli nel 1974 ad Adriano Ravegnani, autore del volume “I vini dell’Oltrepò Pavese”, ed. Gabriele Mazzotta: “ Invidio, caro Adriano, la tua lunga corsa – se può chiamarsi corsa questa tua che esige lunghe e meditate soste in assaggi – per i vini dell’Oltrepò. Li ho cercati anch’io, un tempo. Ed ogni poco li ritrovo: salgo i colli partigiani e ne ho puntuali rivincite: davvero i contadini oppongono la Barbera e la Croatina (vi è, nei due nomi, come una violenza e ti esalta; scrivi Bonarda e sdilinquisci; smisura almeno la rabbia in corpo) ai dissennati propositi della macchina. Capisci allora perché vedo con qualche dispetto la facile esaltazione dei bianchi – Pinot e Riesling quasi sempre – e preferisco, d’Oltrepò, i vini rossi. Vini, i rossi, di mani fatte vere, usurate dalla fatica. Vini in sé, rustici dapprima, vogliosi di maturare e di essere intesi. Con loro hai colloquio (coi bianchi rapido sussurro, la breve gioia di un troppo rapido possesso)”. I rossi della Valle Versa, di San Damiano, Bosnasco e Rovescala: Bonarda, che si ottiene da uva Croatina, Barbera, Pinot nero vinificato in rosso, Buttafuoco e Sangue di Giuda, entrambi microzone della Val Versa, l’uno possente e l’altro, il piacevole rosso “dolce” d’Oltrepò, amabile. Poi gli autoctoni, quali l’Ughetta di Canneto; non a caso lo stemma del Comune di Canneto rappresenta un vite, allevata secondo il sistema dell’ “alberata”, ossia poggiata su supporto vivo, e ricca di grappoli di uva rossa. Sistema antico, che per lungo tempo convisse con l’allevamento su sostegno morto, risultato poi prevalente e che caratterizza da secoli il panorama vitato dell’Oltrepò. Autoctoni: nel 1884, nella relazione ministeriale che seguì l’unità d’Italia - erano gli anni dell’Inchiesta Agraria Jacini postunitaria - , Carlo Giulietti (“Notizie di ampelografia della Provincia di Pavia) cita la presenza in Oltrepò di 120 vitigni a bacca rossa e di 120 vitigni a bacca bianca. Molti di questi vitigni erano autoctoni. Molti scomparvero a causa dell’epidemia di fillossera, oidio e peronospora di fine ‘800. Molti furono salvati, molti restano: come l’Ughetta di Canneto o Vespolina, l’Uva rara e la Croatina, vitigno simbolo dei rossi d’Oltrepò. pavese

Vermiglio il rosso

I vini bianchi d'oltrepo' paveseMario Soldati, apprezzava invece i bianchi dell’Oltrepò, come si evince dal suo “Vino al vino – alla ricerca di vini genuini” del 1969 (Arnoldo Mondadori Editore). “Oggi il vitigno più importante messo a dimora nell’Oltrepò Pavese – scriveva fra l’altro Soldati – è il Pinot: ed è di questo Pinot che si riforniscono in gran parte anche i produttori più famosi di spumanti secchi che prosperano in Piemonte”. Si chiedeva, Soldati, quando le barbatelle di Pinot fossero arrivate in Oltrepò Pavese. Domanda che non ebbe una risposta, se non quella che oggi possiamo dare, soprattutto in relazione alla Valle Versa e ai suoi vini, in particolare i Metodo Classico e gli Charmat da Pinot nero, ma anche il Pinot nero in versione rossa e il Pinot grigio. E’ sicuramente questa l’area dell’Oltrepò, sino ai suoi confini con Piacenza, privilegiata nella coltivazione e nella produzione di Pinot nero, coltivazione e produzione peraltro estesa con ottimi risultati in tutto l’Oltrepò Pavese e tale da potersi fregiare da alcuni anni del riconoscimento DOCG per il Metodo Classico anche nella versione rosé declinata nel marchio collettivo “Cruasé”. Lo si coltiva dalla fine dell’ ‘800, raggiunse le sue prime affermazioni nei primi decenni del ‘900, superata una fase sperimentale con confortanti risultati. Dal cuore della Valle Versa, lo “spumante” dell’Oltrepò iniziò a fare il giro del mondo soprattutto dagli anni ‘70, come nome e come vino, con una propria identità e non soltanto come “giacimento di prelievo”, anche grazie a quello che resta uno dei padri fondatori della spumantistica italiana in senso moderno, il Duca Antonio Denari, uomo della Valle Versa. Senso moderno = qualità di altissimo livello, marketing, strategie di comunicazione che valicassero i confini territoriali, coinvolgimento in eventi mirati di pubblico ed esperti. In poche parole, le basi di una seria cultura e di una seria divulgazione del vino. Bianchi della Valle Versa e delle sue appendici: il Pinot nero in bianco, ma anche Riesling, ma anche Moscato, in primis quello celebre di Volpara, di particolare finezza al palato.

I bianchi d'oltrepo'

In un panorama così articolato e ricco di produzione, verrebbe da chiedersi perché non esista un’organizzazione per cru, similare a quella francese. Sorpresa: il “cru” c’è, anche se qui ha un altro nome, spesso pronunciato forse neppure con la consapevolezza della sua pregnanza. Qui il “cru” si chiama “log”, che è cosa diversa dalla “vegna” o dal “vidur”. Il “log”, nella sua variante di “lughet”, è la vigna migliore, quella specializzata. E’ il “locum” latino, il luogo del vino per eccellenza. Alcuni produttori, consapevoli di questo, chiamano il loro vino in etichetta “Luogo di…”. A seguire il toponimo della collina o dell’antico proprietario o del modo di dire che individua quella determinata vigna o una sua specifica porzione. Quello e non altro.

Il log

I modi di dire legati al vino sono migliaia in Oltrepò, così come i riti dei ritmi della vigna e della vite. Veronelli sarebbe stato felice di scoprire, ad esempio, l’esistenza di una quartina, riportata da Renato Stopani nel suo “L’altra Francigena. La quotidianità del pellegrinaggio medievale” (Firenze, 2010) che così indica: “Al diseva anca San Pedar / che qual pusé bon l’è qual negar; e San Pedar al gh’eva rasòn / che qual negar l’è al pusé bon”. Ritmi di vendemmia, che iniziava un tempo non prima del 16 settembre al sorgere della “Luna Gatinera”, con la sua luce vivida come gli occhi di un gatto, tenendo conto che “fena a San Michel (29 settembre) l’uga suta al ciel”, per meglio maturare e che “a Santa Giustena – il 7 ottobre – l’uga l’è madzena”, buonissima.

Modi di dire

Agostino Depretis, capo della Sinistra Storica postunitaria, padre del “trasformismo” e che Carducci definì “vinattiere di Stradella” allo scrittore e letterato Carlo Alberto Pisani Dossi, nome della Scapigliatura milanese. Fra i tanti, un nome in particolare è legato alla nascita e allo sviluppo delle realtà sociali per il conferimento e la produzione del vino in Oltrepò: è quello di Luigi Montemertini, fondatore fra le altre della Cantina Sociale di Montù nel 1902 e, nel 1905, della Cantina di Santa Maria della Versa.

Persone e Personaggi