LA SCHITA

Acqua e farina: questi sono gli ingredienti della Schita o Schitta, frittatina senza uova tradizionale dell’Oltrepò. L’impasto si frigge nell’olio bollente ed è importante che la schitta resti sottile e non si impregni. La sia mangia salata o dolce, con l’aggiunta di zucchero, miele o marmellate. Di tratta di un piatto “povero” che storicamente non era cucinato con l’olio, raro e costoso, ma con lo strutto del maiale, sebbene la coltivazione di ulivi fosse presente anche in alcune aree dell’Oltrepò Pavese. Il termine “schita” sembra derivare da “schietto”, puro, semplice: è infatti un alimento molto semplice per ingredienti, preparazione e cottura.

Scriveva Luigi Veronelli nel 1974 ad Adriano Ravegnani, autore del volume “I vini dell’Oltrepò Pavese”, ed. Gabriele Mazzotta: “ Invidio, caro Adriano, la tua lunga corsa – se può chiamarsi corsa questa tua che esige lunghe e meditate soste in assaggi – per i vini dell’Oltrepò. Li ho cercati anch’io, un tempo. Ed ogni poco li ritrovo: salgo i colli partigiani e ne ho puntuali rivincite: davvero i contadini oppongono la Barbera e la Croatina (vi è, nei due nomi, come una violenza e ti esalta; scrivi Bonarda e sdilinquisci; smisura almeno la rabbia in corpo) ai dissennati propositi della macchina. Capisci allora perché vedo con qualche dispetto la facile esaltazione dei bianchi – Pinot e Riesling quasi sempre – e preferisco, d’Oltrepò, i vini rossi. Vini, i rossi, di mani fatte vere, usurate dalla fatica. Vini in sé, rustici dapprima, vogliosi di maturare e di essere intesi. Con loro hai colloquio (coi bianchi rapido sussurro, la breve gioia di un troppo rapido possesso)”. I rossi della Valle Versa, di San Damiano, Bosnasco e Rovescala: Bonarda, che si ottiene da uva Croatina, Barbera, Pinot nero vinificato in rosso, Buttafuoco e Sangue di Giuda, entrambi microzone della Val Versa, l’uno possente e l’altro, il piacevole rosso “dolce” d’Oltrepò, amabile. Poi gli autoctoni, quali l’Ughetta di Canneto; non a caso lo stemma del Comune di Canneto rappresenta un vite, allevata secondo il sistema dell’ “alberata”, ossia poggiata su supporto vivo, e ricca di grappoli di uva rossa. Sistema antico, che per lungo tempo convisse con l’allevamento su sostegno morto, risultato poi prevalente e che caratterizza da secoli il panorama vitato dell’Oltrepò. Autoctoni: nel 1884, nella relazione ministeriale che seguì l’unità d’Italia - erano gli anni dell’Inchiesta Agraria Jacini postunitaria - , Carlo Giulietti (“Notizie di ampelografia della Provincia di Pavia) cita la presenza in Oltrepò di 120 vitigni a bacca rossa e di 120 vitigni a bacca bianca. Molti di questi vitigni erano autoctoni. Molti scomparvero a causa dell’epidemia di fillossera, oidio e peronospora di fine ‘800. Molti furono salvati, molti restano: come l’Ughetta di Canneto o Vespolina, l’Uva rara e la Croatina, vitigno simbolo dei rossi d’Oltrepò.