NOVEMBRE: IL RAGÒ E I CECI

Nota in tutta la Lombardia è la Cassoela, composta da carni prevalentemente di maiale e verze. La variante locale, in Oltrepò, è il Ragò, che non necessariamente è composto da maiale ma spesso da anatra. Nella vicina Lomellina, sempre in territorio pavese, il ragò si fa con l’oca. A dominare su tutti le carni come scelta privilegiata è però il maiale, che diventa parte del Ragò nelle sue parti meno nobili (piedini, musino, coda, orecchie, cotenne). Di rigore la verza. La ricetta è invernale, sia per il grande apporto calorico che garantisce sia perché proprio a novembre si procedeva un tempo all’uccisione del maiale e alla raccolta delle verze che crescevano in tutti gli orti. Legato alla stagione è anche l’uso dei ceci, secchi e fatti rinvenire, combinati sempre con il maiale e, con l’aggiunta di pane raffermo, in una zuppa oppure con la pasta. Numerose le simbologie di entrambe le portate. I ceci, ad esempio, legume tipico insieme con i fagioli e le fave del cibo monastico, stanno a significare purezza ma, in occasione del 1° e del 2 novembre, sono considerati come doni da offrire alle anime dei morti e dei santi di ritorno per un giorno dall’Aldilà. Le parti residuali del maiale, quelle che non entrano nella macellazione, sono anch’esse destinate simbolicamente ai defunti.

Scriveva Luigi Veronelli nel 1974 ad Adriano Ravegnani, autore del volume “I vini dell’Oltrepò Pavese”, ed. Gabriele Mazzotta: “ Invidio, caro Adriano, la tua lunga corsa – se può chiamarsi corsa questa tua che esige lunghe e meditate soste in assaggi – per i vini dell’Oltrepò. Li ho cercati anch’io, un tempo. Ed ogni poco li ritrovo: salgo i colli partigiani e ne ho puntuali rivincite: davvero i contadini oppongono la Barbera e la Croatina (vi è, nei due nomi, come una violenza e ti esalta; scrivi Bonarda e sdilinquisci; smisura almeno la rabbia in corpo) ai dissennati propositi della macchina. Capisci allora perché vedo con qualche dispetto la facile esaltazione dei bianchi – Pinot e Riesling quasi sempre – e preferisco, d’Oltrepò, i vini rossi. Vini, i rossi, di mani fatte vere, usurate dalla fatica. Vini in sé, rustici dapprima, vogliosi di maturare e di essere intesi. Con loro hai colloquio (coi bianchi rapido sussurro, la breve gioia di un troppo rapido possesso)”. I rossi della Valle Versa, di San Damiano, Bosnasco e Rovescala: Bonarda, che si ottiene da uva Croatina, Barbera, Pinot nero vinificato in rosso, Buttafuoco e Sangue di Giuda, entrambi microzone della Val Versa, l’uno possente e l’altro, il piacevole rosso “dolce” d’Oltrepò, amabile. Poi gli autoctoni, quali l’Ughetta di Canneto; non a caso lo stemma del Comune di Canneto rappresenta un vite, allevata secondo il sistema dell’ “alberata”, ossia poggiata su supporto vivo, e ricca di grappoli di uva rossa. Sistema antico, che per lungo tempo convisse con l’allevamento su sostegno morto, risultato poi prevalente e che caratterizza da secoli il panorama vitato dell’Oltrepò. Autoctoni: nel 1884, nella relazione ministeriale che seguì l’unità d’Italia - erano gli anni dell’Inchiesta Agraria Jacini postunitaria - , Carlo Giulietti (“Notizie di ampelografia della Provincia di Pavia) cita la presenza in Oltrepò di 120 vitigni a bacca rossa e di 120 vitigni a bacca bianca. Molti di questi vitigni erano autoctoni. Molti scomparvero a causa dell’epidemia di fillossera, oidio e peronospora di fine ‘800. Molti furono salvati, molti restano: come l’Ughetta di Canneto o Vespolina, l’Uva rara e la Croatina, vitigno simbolo dei rossi d’Oltrepò.